Biografia

"Sogna come se dovessi vivere per sempre. Vivi come se dovessi morire oggi." cit. James Dean

Davide Martinazzo


Davide Martinazzo nasce il 28 luglio 1985 a Montebelluna (Treviso).
Conduce gli studi di Grafico Pubblicitario, conseguendo il diploma nel 2004 e acquisendo il diploma Accademico di Designer nel 2007, anno in cui intensifica il suo contatto con l’arte contemporanea, collabora con alcuni artisti e studi di design in vari progetti, come per esempio la realizzazione dei calendari Confartigianato, manifesti pubblicitari per la Swatch e Collaborazioni artistico professionali presso lo studio di design (A.C studio di Montebelluna, Tv).
Attualmente vive a Montebelluna, dove conduce l’attività di artista..

Lavori

"L'arte non insegna nulla...tranne il senso della vita." cit. Henry Miller

  • <p>Ferro dolce ossidato e specchio</p> <p>47x47x85</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p></p> <p>Dittico 100x120</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>80x100</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>100x150</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>70x100</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>70x100</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>80x120</p>
  • <p>Un senso di ritmo vitale continuo: il ferro si insinua nella tela quasi a trarne nutrimento, la tela vibra al suono delle note della sua personale melodia. La scrittura diventi un dripping ideale che unisce il tutto in un\'inedita eleganza. Trovo la scelta di usare lo specchio, cioè di far entrare lo spettatore dentro l'opera, così meravigliosamente coinvolgente; segmenti di specchio ci catapultano all'interno dell'opera trovandoci immersi nel suo fantastico mondo, come in una favola che vorresti non finisse mai.</p>
  • <p>Volo libero</p> <p>Castelfranco Veneto</p>
  • <p>Angeli di vita</p> <p>Galleria Niselli Arte</p> <p>Bassano del Grappa</p>
  • <p>Davide Martinazzo sviluppa la propria ricerca pittorica nel senso della creazione di un universo a sè, slegato dalle contingenze della vita ma ricco di richiami alla dimensione dei sentimenti, concepiti come l’unica esperienza che accomuna tutti gli individui.</p> <p></p> <p>La tela diventa il luogo in cui ogni elemento si unisce agli altri in un insieme organico e morbido: le forme si arrotondano e gli angoli si smussano, mentre i contorni serpeggiano sinuosi. Il colore è soffice, caldo, pastoso e vitale, e da forma ad un mondo magico ed onirico, una dimensione di sogno, ma sogno denso, tenace, capace di dar corpo al linguaggio dell’infanzia, o dell’eros, dove tutto è appunto soffice, dolce e morbido.</p> <p></p> <p>La linea curva struttura l’andamento dello spazio, dando vita ad una morfologia sempre libera e dinamica: grafismi sinuosi vengono ripetuti fino a formare una trama, un pattern decorativo che riempie lo schermo percettivo e va a distribuirsi ugualmente in ogni direzione.</p> <p></p> <p>Accanto alla passione per l’aspetto grafico e ornamentale tuttavia l’artista manifesta anche un forte amore per la materia, per la manipolazione tattile di forme e colori, vissuta come momento dell’esperienza conoscitiva.</p> <p></p> <p>Questo si esprime nella scelta di utilizzare un materiale come la sabbia o il ferro, che viene mischiato ai colori e dà rilievo plastico ai soggetti.</p> <p></p> <p>Nello spazio rigorosamente bidimensionale della tela, lavorata come un mosaico, emergono allora elementi che tendono a fuoriuscire verso la terza dimensione.</p> <p></p> <p>In questi sfondi emergono figure dal carattere iconico, stilizzate e leggere, si tratta di cuori, puzzle, note musicali, ma anche parole o grafismi: tutti elementi che si legano ai ricordi propri dell’artista e che vanno aformare una sorta di personale dizionario ideografico, essenziale e allo stesso tempo colmo di suggestioni e richiami.</p> <p></p> <p>Tuttavia proprio la scelta di oggetti appartenenti ad un immaginario collettivo, e per questo immediatamente riconoscibili, consente l’instaurarsi di un dialogo costante con lo spettatore, che viene in qualche modo chiamato a partecipare ad un viaggio a ritroso, fino al recupero di uno sguardo libero,capace di stupore di fronte alle cose del mondo.</p> <p></p> <p>In questo modo il percorso individuale dell’artista si fa traccia di un’esperienza universale, che ognuno può sentire come propria.</p>
  • <p>Plastico 1:50 progetto Asilo Nido Trento</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p>40x20x30</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p>100x100x220</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>30x30</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata multistrato applicato</p> <p></p> <p>70x100</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata</p> <p></p> <p>20x20</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata</p> <p></p> <p>100x130</p>
  • <p>Vita segreta</p> <p>Brescia</p>
  • <p>Esposizione Bassano del Grappa</p> <p></p> <p>Galleria Niselli Arte</p>
  • <p>Tecnica mista su ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>110x140</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata, ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>60x80</p>
  • <p>Tecnica mista su ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>80x110</p>
  • <p>Tecnica mista su vinili e ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>70x110</p>
  • <p>Tecnica mista su vinili e ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>80x110</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>50x60</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>50x60</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>70x100</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>70x100</p>
  • <p>Tecnica mista su specchio, ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>74x40</p>
  • <p>Tecnica mista su carta intelata, specchio e ferro dolce ossidato</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p>20x20x45</p>
  • <p>Ferro dolce ossidato</p> <p>20x20x66</p>
  • <p>Ferro dolce e Foglia Oro</p> <p>23x27x61</p>
  • <p>Ferro e Legno</p> <p>220x80</p>
  • <p>Davide Martinazzo, in ogni opera, compie un’operazione preziosa, di sottile equilibrio, in cui la sua intimità ispirativa cerca di dar vita ad un racconto che si articola su più piani semantici, liberandosi da ogni sovrastruttura ideologica e riaffermando la necessità di dar voce a nuclei espressivi profondi, alle “storie” sedimentate tanto nella psiche individuale, quanto in quella collettiva.</p> <p></p> <p>L’artista ha costruito, nel tempo, un linguaggio in cui la ricerca segnica, materica e cromatica si arricchiscono grazie ad una rielaborazione narrativa in cui gli elementi che concorrono alla realizzazione del dipinto divengono particolari lessemi i quali, al di là ed oltre la loro superficie estetica e decorativa, raccontano mondi invisibili.</p> <p></p> <p>Ci troviamo di fronte ad una pittura che, quasi fosse un progetto architettonico, si costruisce per gradi e su diversi livelli significanti e comunicativi. Ma nonostante questa ferrea logica interna, questa sorta di razionalità programmata che rappresenta una precisa scelta estetica, Martinazzo regala un universo poetico leggero, quasi le sue opere costituissero un proscenio immaginario sul quale proiettare sogni, percezioni, suggestioni. Per penetrarlo dobbiamo a nostra volta entrare nella dimensione dell’immaginazione e della memoria, per cogliere contenuti che non sono mai preordinati ed univoci e non possono esaurirsi in una “lettura” approssimativa.</p> <p></p> <p>La fitta trama di segni, simboli e calligrafie che si affollano sulla superficie dell’opera costringono ad un profondo ascolto di se stessi, per poter intendere quella sorta di “interpazio” dove chi crea e chi osserva si incontrano e riescono a far vibrare l’eco misteriosa di una morfologia in cui confluiscono realtà visiva, conoscitiva ed immaginativa.</p> <p></p> <p>Il fatto di utilizzare l’inserto calligrafico, piuttosto che materiali vari applicati sulla tela o sulla carta – di fatto allegorie da parafrasare, in una polisemia che pare essere proprio la caratteristica intrinseca della ricerca di Martinazzo - obbliga lo spettatore ad un’operazione filosofico-semantica. Questi deve obbligatoriamente concepire un percorso di decodificazione che consegni all’opera ulteriori significati, quelli lasciati volutamente aperti da chi crea. L’arte contemporanea, innegabilmente, serba in sé la necessità di trasfigurare la realtà per offrirla nuova ed eternarla in qualcosa che proceda oltre l’ovvio e oltre l’apparente consistenza del reale. Certo, più dell’arte mimetica comporta lo sforzo di attingere al nostro patrimonio di conoscenze culturali per poter leggere al di là di quanto è immediatamente visibile e discernibile, in un’operazione di ricontestualizzazione che può inverarsi solo se a nostra volta ci spogliamo dei paraocchi del senso comune e ci spingiamo laddove l’artista è stato in grado di attingere, caricando ogni minimo prelievo dalla realtà di nuovi significanti, divenendo il medium in grado di portarci all’interno di universi che si spingono oltre l’usuale percezione delle cose.</p> <p></p> <p>Il cammino di Davide Martinazzo somiglia ad uno zig-zag all’interno delle vecchie civiltà, dell’arte primitiva, come delle avanguardie storiche. La sperimentazione lo ha condotto ad appropriarsi di un propria precisa espressività, in cui si incrociano e convivono – come accennato – differenti esperienze espressive. La sua formazione grafica è evidente nell’amore per le cromie vivaci e calde, per lo sfumato dei colori che dolcemente, e quasi impercettibilmente, si ammorbidiscono l’uno nell’altro, per il segno preciso e sinuoso che delinea gli oggetti che affiorano sullo sfondo, per lo più cuori, violini, chiavi di sol.</p> <p></p> <p>Indubbio l’interesse per le tecniche informali. I fondi dei dipinti nascono a partire dal sovrapporsi di materie (sabbie e stucchi), di colori, di materiali di riciclo, come gli strati di ruggine, il ferro ossidato, utilizzati per attestare quella necessità di recupero delle nostre radici, quel voluto contrasto tra passato e presente, tra antico e moderno che si traduce in un invito a non dimenticare le fondamenta della nostra cultura. La loro preziosità conferisce alla superficie pittorica una remota vibratilità, intrisa di memoria naturale.</p> <p></p> <p>Su di essa si interviene per fasi, momenti successivi. Sul substrato, appunto, materico e cromatico, uno spazio senza inizio e senza fine, lontano da ogni concretezza finita, emerge spesso una sorta di misterioso dripping, in armonia con la sinuosità dell’inserto calligrafico. Una grafia che dolcemente accarezza il quadro, un corsivo allungato, libero, apparentemente riconoscibile e leggibile; in realtà consegna eccezionalmente parole o pensieri precisi, in quella accennata determinazione di lasciare aperto l’interrogativo sul senso. Un senso che ci investe attraverso un fluire di ritmi dentro uno spazio ovattato, fantastico, il quale pare svelare segreti o raccontare cose che sono e non sono, rendere riconoscibile quanto non lo è, in un discorso che avanza quasi volutamente oscuro ma ci dispiega al miracolo dei linguaggi millenari dell’uomo, degli alfabeti, delle parole che diventano poesia e sciolgono la solitudine dell’incomunicabilità.</p> <p></p> <p>Oltre le parole – o prima delle parole – i simboli. L’etimo del termine è greco (dal verbo συμβάλλω, che significa “mettere insieme”). Qualcosa da riconoscere, che rimanda ad altro. Per Martinazzo equivale ad un prelievo dal mondo quotidiano. Cuori dipinti, lettere costruite e applicate (in legno o ferro), dischi in vinile, sagome in ferro, la tessera di un puzzle. Ecco, probabilmente quest’ultima li ingloba tutti; diviene proprio il monito capace di richiamarci alla necessità di ricomporre gli indizi, afferenti all’immaginario collettivo, regalandoci però la vertigine della libertà, dell’emancipazione da interpretazioni univoche, obbligandoci a ricorrere all’immaginazione ed alla fantasia, a quel fertile spazio dove tutto può esistere e costruirsi.</p> <p></p> <p>Questi inserti, in genere in rielievo, conferiscono al dipinto una tridimensionalità e serbano un destino. Leggere nelle cose significa attribuire un significato al mondo, elaborare un codice comunicativo che lo riveli, che leghi il proprio fare al senso profondo dell’essere, oltre l’oggi, indietro nel tempo, per poi tornare all’attualità, creare un ponte tra passato e futuro. Attingere dalle abissali lontananze della storia segni e simboli riconosciuti affini per le misteriose vie della umana sensibilità, per ricondurli nella sintesi dell’immagine, pittorica ma anche scultorea, significa essere in grado di penetrare nei reperti della cultura per arricchire il proprio linguaggio di apporti che costituiscono un recupero di presenze enigmatiche, le quali si offrono al nostro tempo ambiguo come una poesia che vuole scalfire la nostra civiltà nutrita di immagini patinate e mediatiche. Il segno, appunto, prende il posto dell’icona ridondante e la pittura non descrive, piuttosto suggerisce. Un equilibrato rapporto tra gli elementi compositivi consegna un’elaborata, sottile ed intelligente semantica, la cui modernità è da cogliersi, soprattutto, a livello compositivo e cromatico, in quelle tinte raramente severe e così tipiche del nostro oggi,che ci immergono in un universo giocoso e fiabesco, lontano dalla drammaticità di certo informale storico.</p> <p></p> <p>Le sculture dell’artista paiono “saltar fuori” dai suoi quadri. E’ come se Martinazzo prelevasse dalle tele gli inserti e li ricomponesse assemblandoli in una dimensione plastica. Sono di nuovo quelle chiavi di sol, quei violini, quei cuori costruiti con i materiali prediletti (il ferro ossidato, il legno, gli specchi), quel suo universo allegorico e paradigmatico a costituire la possibilità di un’indagine formale, la quale ci propone una ricerca stilistica e contenutistica coerente, una poetica capace di sconfinare in una realtà ludica, in uno stupito surrealismo che attestano il prodigio della vita.</p> <p></p> <p></p> <p>CRISTINA PALMIERI</p>
  • <p>Paragonando la storia dell’arte ad una grande agorà, un palcoscenico ideale dove nel tempo mutano i protagonisti, forse qualcuno ardirebbe audacemente alludere all’affresco di Raffaello della Scuola di Atene nei Musei Vaticani, opera che mostra i grandi pensatori dell’antichità, ponendo al centro della raffigurazione le tre personalità che hanno determinato la storia della filosofia: in primis Platone e Aristotele, poi Socrate.</p> <p></p> <p>Ovviamente la storia della filosofia, come la storia dell’arte, è una trama che si ricostruisce a posteriori, valutando, in prospettiva ed con opportuna distanza storica, quali personaggi abbiano in realtà lasciato un segno tangibile. Osservano la contemporaneità, nell’impossibilità di raggiungere un punto d’osservazione lontano in maniera apprezzabile, lo strumento che lo storico o il critico d’arte ha disposizione è quello di sempre: l’osservazione. Tutto parte da qui.</p> <p></p> <p>Prendendo in esame le opere di Davide Martinazzo qui presentate nella mostra “Panta rei” (in greco “tutto scorre”) spiccano grandi lamiere di metallo contorte e carte intelate, recanti sulla superficie applicazioni sotto forma di lettere che <em>scorrono</em>, prevalentemente in alfabeto greco antico. A una prima indagine si potrebbero definire cumuli, quasi <em>dall'objet trouvé</em>, lettere alla rinfusa cadute chissà da quale universo fisico o mentale. Ma a ben guardare si può ricostruire una traccia, apparentemente oscura, sibillina, misterica. L’artista cela e custodisce gelosamente il segreto, non lo rende immediatamente disponibile, apparirà chiaro solo a chi proverà il desiderio di “vivere dentro l’opera”.</p> <p></p> <p>Martinazzo “gioca” con il <em>mito della caverna</em> ad impersonare il ruolo del <em>demiurgo</em>, capace di orchestrare un disegno tra l’ultramondano (il mondo delle idee, del <em>logos</em>) e la realtà fenomenica, del sensibile, con le parole disposte, beffardamente, in ordine sparso, con quel culto della parola il quale permea di sé la storia dell’umanità, dalla calligrafia medioevale, alla poesia visiva, alla <em>street art</em> ed al <em>lettering</em>.</p> <p></p> <p>Posto che queste lettere siano state in origine unite in parole, e le parole a loro volta possano essere combinate in frasi di senso compiuto, qual è il loro significato?</p> <p></p> <p>Vi sono due opere nelle quali le lettere sparse si ricompongono in parole che a loro volta formano rispettivamente le frasi “il bello non è senza misura” e “Ogni cosa buona è bella”. Entrambe sono estrapolate dal <em>Timeo</em> di Platone, opera letteraria in forma di dialogo, dove l’illustre filosofo sintetizza l’ambizione della cultura greca di definire l’ideale del <em>Kalòs kai agathòs</em> (il bello e il buono), con una forte connotazione etica, nella dimensione in cui viene attribuito alla bellezza un legame profondo con la bontà. Secondo la filosofia platonica la fondamentale unità del bello e del bene rientra in un modello di educazione integrale che si realizza anche nell’uomo, nel quale non è ricompresa l’anima senza il corpo, né il corpo senza l’anima, perché si genererebbe una persona priva di quell’equilibrio e quella misura che contraddistingue tutta la cultura artistica e letteraria del periodo classico.</p> <p></p> <p>Altrove nelle opere di Martinazzo si legge “Parola” oppure “Lettera di noi due”, con un evidente richiamo al carattere originario e quel senso filologico della lingua, come sospesa in un tempo impossibile, dove la comunicazione avviene ancora attraverso il senso genuino, iconico delle parole, che divengono simboli.</p> <p></p> <p>L’intento dell’artista è da ravvisare non nel riecheggiare anacronisticamente il passato, anche quando si tratti di pilastri su cui si fonda la civiltà occidentale, e neppure nello scatenare inutili e tardivi dibattiti filosofici. In definitiva non uno sterile <em>citazionismo</em>.</p> <p></p> <p>Gli artisti citazionisti, per la verità, in ambito delle arti visive, sono così definiti in quanto utilizzano sovente una rete di rinvii colti alla pittura e l’arte del passato, ma si tratta di rimandi stilistici figurativi, poichè costoro rifiutano la cancellazione d’ogni dimensione del passato propria delle avanguardie del Novecento e reiterata nello sperimentalismo e nell’arte contemporanea, di matrice neo-dadaista e concettuale, con le dovute eccezioni. In buona parte dei casi il citazionista usa la pittura come medium ed è un neo-figurativo. Mentre Martinazzo potrebbe essere definito un “citazionista della parola”, ma anche questo appellativo rischierebbe di essere riduttivo.</p> <p></p> <p>Semmai al nostro artista interessa il recupero, attraverso l’esteticità del linguaggio, dei significati di armonia del materiale povero, nell’intento di trovare la bellezza nella superficie liscia della lamiera d’acciaio interrotta dalle pieghe, come metafora d’una società ferita, che porta i segni del tempo, come un volto segnato dalle rughe, come cesure entro cui si plasmano mondi invisibili.</p> <p></p> <p>Mentre l’arte concettuale più pura ed estrema è svincolata dall’estetica del materiale o dell’oggetto, dalla piacevolezza della manipolazione artigianale, ed è rivolta prevalentemente all’ideazione di un quid che susciti uno stato mentale o suggerisca un’idea, l’arte di Martinazzo è un concettuale che affonda le radici nell’arte povera. Sulla scia delle correnti della <em>pop art</em>, del <em>nouveau realisme</em> e del <em>ready made</em>, e tutta l’arte derivata dalla poetica dadaista e da Duchamp (autore di metafore visivo verbali, giochi di parole ed elucubrazioni mentali), in Martinazzo la poetica dell’oggetto assume un ruolo importante in relazione alla materia, alla lamiera contorta, alla lastra di metallo “accartocciata”, al materiale che suscita un sentimento di velata malinconia, per l’inevitabile degrado del tempo, ma esprime anche una volontà di connotare in senso estetico l’opera, che plasticamente si colloca nello spazio con eleganza, formando delle pitto-sculture, tendenzialmente monocrome.</p> <p></p> <p>Il tema, apparentemente di facile lettura, cela inganni e induce a riflettere sulla permanenza del passato nel contemporaneo nel modo di concepire l’arte, e il virtuosismo calligrafico consente all’artista di interrogare l’arte sollecitando lo sguardo affinché possa vedere le forme oggi invisibili agli occhi di noi contemporanei, spesso troppo superficiali e ciechi, creando cortocircuiti e contrasti imprevisti e imprevedibili.</p> <p></p> <p>Martinazzo recupera quel senso di identità che va oltre l’apparenza, oggi come non mai, nell’era dei <em>social</em>, dove <em>facebook, twitter, instragram</em> sono divenuti un prolungamento del nostro braccio, della nostra mano e della nostra mente, parafrasando in qualche modo il <em>pictor optimus</em>, De Chirico, e molti altri come lui, i quali interpretavano l’idea del classico per scoprire nuovi linguaggi, mettendo in scena l’enigma dell’esistenza.</p> <p></p> <p>In Martinazzo si può ritrovare una qualità propria di molti artisti attivi negli anni ’60 e ’70 e protagonisti dell’arte povera, come Luciano Fabro, le cui opere, apparentemente semplici, sono in realtà il frutto di un notevole sforzo di ricerca per ottenere una percezione immediata in un lavoro svolto all’insegna dell’artificiale naturalezza, anche nel materiale.</p> <p></p> <p>Nell’epoca della globalizzazione guardare al passato nel presente provoca quesiti irrisolvibili sull’estetica contemporanea, in perenne metamorfosi e perciò inafferrabile, in una sorta di ermetismo. Martinazzo è un artista visionario, metafisico e concettuale, che attinge da una culla semantica, che è un miraggio, parole che scorrono (Panta rei). Forse ci suggerisce che siamo in grado di vedere solo ciò che guardiamo con attenzione, e l’arte è una testimonianza di una verità illusoria che l’artista naufrago scorge nell’oceano dei simboli.</p>
  • <p>Se la poesia materica è una della fonti principali del piacere visivo, cosa mai si può dire di Davide Martinazzo, giovane artista che attraverso il profondo intimo poetico lascia a noi una diretta testimonianza della propria percezione interiore?</p> <p></p> <p>Le sue composizioni corrispondono a un continuo percorso condizionato dal sentimento, dall’emotività. Facile a dirsi, indubbiamente più complesso nel renderlo concreto; la duttilità di Martinazzo resa tale mediante l’uso di diversi materiali porta ogni volta a un nuovo sorprendente risultato da molteplici significati. La passione per la musica si riscontra nelle sue prime sculture in cui elementi musicali realizzati in ferro trovano collocamento su un supporto di tela o lamiera, dando così vita ad un simbolico pentagramma in cui si cela il messaggio impresso dall’artista. Ma non è tutto; la riflessione di Martinazzo apre a nuove ricerche in cui le armoniche chiavi di violino lasciano il posto alle lettere dell’alfabeto della antica Grecia, culla della civiltà, dell’epica e della tragedia. E come ogni commedia o tragedia ha il suo intreccio, anche le opere di Martinazzo racchiudono il loro, ognuno diverso dall’altro, rendendoci così consci e partecipi di una storia infinita sezionata in tante parti.</p> <p></p> <p><em>Panta Rei</em>, d’altronde, è un titolo non casuale che nell’artista trova un significato ambivalente: da una parte indica l’armonia compositiva delle sue sculture composte sia da lettere in ferro applicate su lastra che sembrano lentamente scivolare via dal supporto, sia da impressioni su malta che rimandano alle frasi impresse sulla sabbia fino a quando il “soffio di Zefiro” non le cancella; dall’altra viene posta l’attenzione sul profondo significato emotivo che l’artista cerca di liberare rendendolo a noi noto attraverso l’arte della scultura, della scrittura e della letteratura.</p>
  • <p>Tecnica mista su ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>90 x 80</p>
  • <p>Tecnica mista su ferro dolce ossidato</p> <p></p> <p>100x80</p>
  • <p>Forse il mercato, i galleristi e vari critici diranno che Davide Martinazzo produce un'arte gioiosa, musicale. All'apparenza le sue sculture, i suoi bassorilievi, i suoi quadri appaiono esprimere una leggiadria ariosa, vitale, quasi sospesa nel vuoto, di forme, note musicali e lettere. Sulla parete di una galleria, di un salone o in un giardino, la sinuosità dei suoi lavori conferisce allo spazio attorno una leggerezza non turbata.</p> <p></p> <p>Lontane sembrano le chitarre schiantate, rotte, violentate di Arman, i suoi violini frantumati, convulsi. In Arman è presente una violenza d'impatto che in Martinazzo, che pur gli si affianca nel filone come uno dei possibili allievi, non traspare.</p> <p></p> <p>Eppure chi vedesse nelle opere di Martinazzo solo leggerezza e leggiadria, si fermerebbe soltanto all'apparenza, alla superficie dei suoi lavori, al loro aspetto più epidermico, alla cute.</p> <p></p> <p>Le sue sculture infatti non sono una pura esibizione di se stesse, come lo sono invece, ad esempio, dichiaratamente, patentemente, festosamente, le sculture luminose, i suonatori di chitarre, di Marco Lodola. Nel nostro artista è presente un lavorìo di ricerca, di espressione visiva e plastica, forse anche un logorio della forma, delle sue escrescenze, delle sue rientranze, assai più conturbato rispetto alla decorazione cromatica, elettrica, esibitoria, del ben noto Lodola, anche quando quest'ultimo raffigura temi e soggetti molto vicini a quelli prediletti da Martinazzo.</p> <p></p> <p>È appunto questo lavorìo del nostro artista, questo suo tentare un equilibrio della forma attraverso i vuoti e i pieni, questo suo lavorare per sottrazione dei volumi (si faccia caso che le note, i pentagrammi, le lettere sono accennate con una forma volumetrica che si vuol far sempre leggiadra e impalpabile) che rende Martinazzo non un decoratore, non un fregiatore, non un arredatore, ma un artista. Che cosa distingue infatti un artista da un ambientatore? Anche se è una distinzione molto difficile, spesso franosa - se pensiamo a tutta la ricerca sull'estetica condotta da Gillo Dorfles o Gérard Genette - possiamo dire che l'ambientatore risponde alla funzionalità di ciò che crea. Il suo senso estetico deve essere anzitutto funzionale: deve produrre ambienti, cioè spazi confortevolmente, esteticamente gradevoli. Certo, anche Tiepolo produceva spazi esteticamente gradevoli ed era però un artista impareggiabile. Dunque che cosa distingue l'ambientatore da un artista? Appunto quest'ultimo non riduce l'arte alla sua mera funzionalità, né al suo piacere, ma ad interrogare l'animo umano. L'<em>inquisitio</em>, l'indagine, la ricerca, che innalza la nostra mente a pensieri diversi dalla funzionalità degli oggetti stessi è propria dell'arte. Martinazzo tenta questa indagine, tenta questa <em>inquisitio</em>, tenta questa "ricchezza di possibilità - immaginative, creative, conoscitive, di affermazione del sé - in cui le identità sono ancora mutevoli e fluide", come scrive Isabella Bisol nell'introduzione al catalogo precedente "Ex me tibi".</p> <p></p> <p>Ecco che in questa indagine, le lettere e le note musicali, pur apparendo ornative, sono invece ben più che ornamento e decorazione: sono segni disgiunti dal loro significato. Le note e le chiavi su un pentagramma sono il fondamento della musica, sono l'alfabeto razionale e logico attraverso cui un musicista legge e replica in suono quanto letto. Le note su un pentagramma corrispondono ciascuno ad un suono, e sono messe su un pentagramma in modo da denotare la durata e l'altezza del suono. Ma una nota fuori dal pentagramma cosa è? Una chiave fuori dal pentagramma cosa è? A quale alfabeto risponde? A quale traduzione risponde? E un insieme di lettere scomposte, non più a formare parole di senso compiuto, a quale alfabeto risponde? È questa la domanda aperta che ci lascia il nostro artista: a cosa risponde un segno se il suo significato logico, per il quale quel segno è stato pensato e usato, non c'è più?</p> <p></p> <p>Forse in Martinazzo non c'è il dramma, il crollo delle lettere confuse, ammucchiate, come una slavina, prive oramai di unione in parola, come nell'arte di Rudy Pulcinelli. Ma certamente il senso di un alfabeto da ricomporre, dopo un'esplosione, dopo una frantumazione, dopo una dispersione, è evidente nelle opere del nostro artista. Tanto è vero che, ad opere su parete, Martinazzo disperde queste note, chiavi, cuori, foglie, quasi come fossero esiliate, su molti altri materiali, su un palo, su una ciotola di rame, su lastre di metallo e chissà su quant'altro nella sua produzione futura.</p> <p></p> <p>Ben oltre l'aspetto lirico e ornativo che in apparenza la sua arte testimonia, la ricerca di un alfabeto da ricomporre, da ricreare, dopo una frantumazione, dopo una dispersione, è la vera e preziosa indagine che porta avanti Davide Martinazzo.</p>

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"Siamo buoni a nulla, ma capaci di tutto." cit. Jim Morrison

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Mostre e collaborazioni

"Andrei all'inaugurazione di qualsiasi cosa, anche di una toilette." cit. Andy Warhol

2017

_ Milano (Mi), Presentazione Opere c/o Galleria d’arte Ef Art Collection
A cura di Matteo Bellenghi
_ Livorno (Li), Presentazione Opere c/o Galleria d’arte Ricci Arte Contemporanea
A cura di Silvia Ricci
_ Parma (Pr), Presentazione Opere c/o Galleria d’arte Cento Steccata
A cura di Vittorio Zanin
_ Punta Ala (Gr), Presentazione Opere c/o Galleria d’arte Fuel Arte Contemporanea
A cura di Vittorio Zanin
_ Prato (Po), Presentazione Opere c/o Archivio Carlo Palli
A cura di Carlo Palle e Ilaria Magni
_ Torino (To), Presentazione Opere c/o Galleria d’arte La Tesoriera
A cura di Fabrizio e Andrea Armato
_ Lucca (Lu), mostra personale “Panta Rei” c/o Lucca Museum Center of Contemporary Art
A cura di Ef Art Collection, Matteo Bellenghi, Ilaria Magni, Luca Nannipieri e Maurizio Vanni

2016

_ Roma (Ro), Collettiva c/o Stefano Simmi Arte
A cura della Galleria d’arte Stefano Simmi Arte
_ Pisa (Pi), Installazione c/o Casa Nannipieri
A cura di Luca Nannipieri
_ Ferrarra (Fe), Collettiva c/o Associazione Viale K
A cura di Omar Filippini
_ Brescia (Bs), Presentazione opere c/o Orlando Arte Tv.
A cura di Alessando Orlando
_ Livorno (Li), Presentazione opere c/o Galleria d’arte Ricci Arte Contemporanea
A cura di Silvia Ricci
_ Roma (Ro), Presentazione opera c/o Galleria d’arte Carlo Gallerati
A cura di Carlo Gallerati
_ Roma (Ro), Presentazione opere c/o Galleria d’arte Lombardi
A cura di Lorenzo Lombardi
_ Treviso (Tv), Collaborazione artistico/professionale, Presentazione Bozzetti per realizzazione Etichette Vino Az. Emilio Sartor

2015

_ Alzano Lombardo (Bg), collettiva “Arte a confronto” c/o Fondazione Mazzoleni
_ Milano (Mi), collettiva “Arte e Mestieri” c/o villa Vertura
A cura del’Architetto Antonio Lombardo
_ Milano (Mi), Installazione Pubblica c/o Villa Vertura
_ Brescia (Bs), Presentazione opere c/o Orlando Arte Tv.
A cura di Alessando Orlando
_ Milano-Rho (Mi), Presentazione/recensione critica
A cura di Cristina Palmieri (cristinapalmieriarte.com)
_ Sessa Aurunca (Ce), Presentazione opere c/o Galelria d’arte Toro Arte Contemporanea
A cura della Galleria Toro Arte
_ Roma (Ro), Presentazione opere c/o Galleria d’arte Lombardi
A cura di Lorenzo Lombardi
_ Roma (Ro), Presentazione opera c/o Galleria d’arte Carlo Gallerati
A cura di Carlo Gallerati
_ Roma (Ro), Presentazione opere c/o Galleria d’arte Simmi
A cura di Stefano Simmi
_ Livorno (Li), Presentazione opere c/o Galleria d’arte Ricci Arte Contemporanea
A cura di Silvia Ricci
_ Milano (Mi), Presentazione progetto site/specific Smart Italia
A cura di Smart

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